Quando una persona affronta un evento traumatico che compromette in modo significativo la propria autonomia, il bisogno di assistenza non si limita a cure mediche o supporti tecnici. Serve un contesto che sappia accogliere, accompagnare, valorizzare. È in questa prospettiva che la residenzialità per persone con disabilità acquisita assume un significato profondo e complesso: non un ricovero, ma un luogo in cui ricominciare a costruire la propria vita.
Concepiamo la residenzialità come un progetto di vita integrato, che affianca l’assistenza quotidiana a una dimensione educativa, relazionale e sociale, ponendo al centro la persona, la sua storia e il suo potenziale.
Un contesto abitativo personalizzato, non una struttura sanitaria
La residenzialità non è “una stanza in più”, né una soluzione d’emergenza. È un contesto pensato per garantire stabilità, sicurezza e qualità della vita, anche in condizioni di fragilità.
Ogni struttura residenziale va pensata e organizzata per offrire:
- ambienti accoglienti e familiari, pensati per favorire il benessere e la serenità;
- spazi personalizzabili, in cui ciascuno possa riconoscersi e sentirsi a casa;
- tempi e routine flessibili, che rispettano i ritmi e le esigenze individuali.
L’obiettivo è superare la logica della struttura “chiusa” o “sanitaria”, per costruire una comunità abitativa dinamica, che favorisca relazioni, autonomia e partecipazione.
Il valore della continuità educativa e relazionale
La disabilità acquisita non è mai solo una questione clinica. Coinvolge il modo in cui la persona si percepisce, si relaziona agli altri, affronta il presente e immagina il futuro. Per questo, alla base di ogni percorso residenziale vi è la relazione continuativa con figure educative e professionali, che accompagnano la persona giorno dopo giorno.
La continuità non riguarda solo la presenza operativa, ma anche:
- la costruzione di un legame di fiducia;
- il supporto nella gestione delle emozioni, delle frustrazioni, delle nuove sfide quotidiane;
- l’attivazione di processi di autonomia progressiva, anche nei piccoli gesti: dalla gestione degli spazi personali alla partecipazione alle attività comuni.
Questa relazione costante e significativa è ciò che rende possibile il passaggio da “utente assistito” a persona partecipe del proprio percorso di vita.
Le figure coinvolte: un’équipe al servizio della persona e la co-progettazione
Alla base di ogni progetto residenziale vi è il lavoro coordinato e integrato di un’équipe multidisciplinare, composta da figure professionali qualificate che operano con uno sguardo comune: promuovere benessere, autonomia e dignità.
Le principali figure coinvolte ( che vedremo anche in un prossimo articolo) sono:
- Educatori professionali, responsabili del progetto educativo individuale e della costruzione delle relazioni significative;
- Operatori socio-sanitari (OSS), che offrono assistenza concreta e supporto nelle attività quotidiane con attenzione e umanità;
- Fisioterapisti, impegnati nel mantenimento e nel recupero delle abilità motorie residue;
- Infermieri, che monitorano la salute generale e forniscono assistenza sanitaria continuativa;
- Psicologi e assistenti sociali, quando necessario, per il supporto emotivo, il raccordo con le famiglie e la gestione delle progettualità più complesse.
Ogni intervento è orientato da una logica di co-progettazione: non si lavora “sulla persona”, ma insieme alla persona e alla sua famiglia, nel rispetto delle sue scelte, dei suoi desideri, della sua storia.
Concepire la residenzialità in questo modo significa andare oltre l’assistenza, per affermare il diritto a un’esistenza piena anche nella fragilità.
Significa riconoscere che ogni persona, anche dopo un evento traumatico, ha diritto a uno spazio da abitare non solo fisicamente, ma affettivamente, relazionalmente, simbolicamente.